L’esistenza di beni personali del coniuge debitore opponibile al creditore in sede esecutiva e il valore della trascrizione dell’accettazione dell’eredità.
La Corte d’Appello palermitana, nell’accogliere l’appello proposto dal coniuge non debitore, il quale si doleva dell’illegittimità del pignoramento azionato sull’immobile facente parte della comunione legale, chiarisce la portata del principio di sussidiarietà dei beni della comunione legale (art. 189 c.c.).
Il coniuge non debitore, in sede di opposizione all’esecuzione, indicava al creditore procedente altri beni personali (di provenienza ereditaria) sui quali avrebbe potuto soddisfarsi, ma questi proseguiva con l’azione esecutiva incoata ritenendo che, in assenza di trascrizione dell’accettazione di eredità della debitrice, tali beni non potevano essere validamente aggrediti.
La Corte chiarisce che il principio di sussidiarietà di cui godono i beni della comunione legale ex art. 189 c.c. non onera il creditore di ricercare beni personali del coniuge debitore da aggredire in via preventiva, ma consente ai coniugi contitolari del bene aggredito di indicare, in sede di opposizione all’esecuzione, l’esistenza di beni personali del debitore suscettibili di esecuzione forzata, sì che il creditore rinunci all’azione esecutiva già avviata a carico dei beni della comunione.
Tra i beni personali rientrano anche quelli di provenienza ereditaria, a prescindere dalla trascrizione dell’accettazione di eredità, la quale ultima risponde alla sola esigenza di continuità delle trascrizioni e non impedisce all’interessato (in tal caso al creditore dell’erede) di curare personalmente la trascrizione dell’accettazione e consentire al pignoramento immobiliare già trascritto di produrre effetti retroattivi.
Ed invero, la Banca creditrice aveva pignorato l’immobile facente parte della comunione legale a soddisfazione di un credito vantato nei confronti di uno solo dei coniugi.
Le notifiche telematiche nel processo tributario. Valida la notifica telematica effettuata all’indirizzo di p.e.c. presente nell’indice IPA.
Con una pronuncia inedita nel panorama giurisprudenziale, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente il quale si doleva della pronuncia di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado.
Ed invero, la Corte di merito ha ritenuto inesistente la notifica dell’appello effettuata telematicamente dal contribuente poiché l’indirizzo di p.e.c. del destinatario, indicato nella relata di notifica, era stato tratto dall’indice IPA piuttosto che dal registro PP.AA., indice che non potrebbe essere considerato pubblico alla data in cui fu effettuata la notifica.
A sostegno di un simile assunto, la Corte di merito citava la norma di cui all’art. 28, co. 1 del D.L. 76/2020, la quale prevede l’utilizzo degli indirizzi di p.e.c. registrati presso l’IPA solo a condizione che l’ente non abbia provveduto a registrare la propria p.e.c. presso il c.d. registro PP.AA., e precisava che, comunque, tale norma è entrata in vigore successivamente alla data della notifica dell’appello, sicché, in ogni caso l’utilizzo dell’indice IPA sarebbe stato precluso al contribuente, con conseguente inesistenza della notificazione e inammissibilità dell’appello.
Tuttavia la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, ha affermato che nel processo tributario trova applicazione la disciplina speciale di cui al combinato disposto dell’art. 16 bis del D.L. 546/1992 e del D.M. 163/2013.
Quest’ultimo espressamente dispone che per gli enti impositori, l’indirizzo di p.e.c. è quello individuato dall’art. 47, co. 3 del D.lgs. 82/2005 pubblicato nell’I.P.A.
Pertanto, ritenuto che il processo telematico tributario è entrato in vigore nella regione Sicilia a far data dal 15/6/2017 e che la notifica de qua è certamente successiva (anno 2020), il contribuente ha correttamente notificato l’atto di appello applicando la normativa speciale vigente per il processo tributario.
Tempi duri, dunque, per gli avvocati i quali, oltre a doversi barcamenare tra le norme del diritto civile, penale, amministrativo, tributario e delle tante altre branche del diritto, sono costretti ad affrontare la spinosa e nuova questione del processo telematico nelle più varie sfaccettature, tra le quali spicca il tema della notifica.
Con sempre maggior frequenza si assiste a una pronuncia che, anziché risolvere le questioni di merito, si soffermano su questioni di forma “telematica”, sperperando le già scarse risorse umane ed economiche, che non apportano alcun utile contributo alla causa.
Si assiste così ad un florilegio di pronunce che affermano l’inesistenza di una notifica di un ricorso regolarmente ed effettivamente ricevuto dal destinatario (che ne rilascia ricevuta) nel proprio indirizzo di p.e.c., risultante da tutti i registri esistenti, solo perché nella relata di notifica risulta che l’indirizzo di p.e.c. è stato preso da un registro piuttosto che da un altro.
Orbene, a parte la confusione che un tale sistema ha ingenerato tra gli operatori di diritto che hanno poca dimestichezza con lo strumento informatico (tra i quali il giudice a quo delle controversie oggetto di commento), pare proprio che i problemi del processo telematico siano solo all’alba! Ci dobbiamo aspettare altro?
Agenzia della Riscossione – solo la sede competente territorialmente può emettere gli atti della riscossione.
Con la sentenza n. 2720/2023 la Corte di Giustizia Tributaria di 2 grado della Sicilia, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, ha affermato la nullità della cartella di pagamento emessa dall’Agenzia dell’Entrate Riscossione sede di Catania nei confronti di un contribuente domiciliato fiscalmente in provincia di Caltanissetta per violazione della disciplina relativa alla competenza territoriale dell’Agente della Riscossione attualmente vigente anche dopo il subentro dell’Agenzia dell’Entrate Riscossione ad Equitalia e, in Sicilia, a Riscossione Sicilia S.p.A.
La responsabilità dei Condomìni per la caduta di un albero sull’autovettura in sosta nell’area di pertinenza condominiale. Esclusione del caso fortuito.
Con un’interessante pronuncia in tema di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia (ex art. 2051 c.c.), il Tribunale civile di Caltanissetta ha accolto la domanda di risarcimento formulata dall’attrice nei confronti di quattro Condomìni, ritenuti responsabili dei danni provocati dalla caduta di un albero di grosse dimensioni all’autovettura parcheggiata all’interno di una zona condominiale
Il Giudice ha dapprima ritenuto provato che i danni all’autovettura siano stati provocati dalla caduta di un albero posto in una zona condominiale, con ciò riconoscendo la responsabilità dei Condomìni custodi del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Nel rigettare l’opposta eccezione di caso fortuito, unica esimente del custode del bene, inoltre, il Giudice ha rilevato le forti raffiche di vento non valgono a recidere il nesso di causalità tra la cosa e l’evento lesivo, essendo necessario che l’evento atmosferico, normalmente prevedibile con l’ordinaria diligenza, presenti caratteri assolutamente eccezionali tali da sfuggire al controllo del custode.
Sul punto il Giudice ha ben rilevato che nessuna prova è stata fornita dai convenuti in ordine all’eccezionalità delle raffiche di vento, sicché l’eccezione di caso fortuito è stata rigettata e i convenuti sono stati condannati a risarcire tutti i danni patrimoniali cagionati all’autovettura dell’attrice.
L’USUCAPIONE TRA PARENTI E LA “PRESUNZIONE” DI TOLLERANZA.
Con una recente pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato la domanda di usucapione relativa all’acquisto del diritto di proprietà di un bene immobile, ritenendo che il possessore non ha provato in giudizio l’assenza di una condotta tollerante del proprietario.
La Corte ha, infatti, ritenuto che, qualora le parti siano legate da un forte vincolo di parentela, come nel caso di madre e figlio, non è sufficiente, ai fini dell’usucapione, dimostrare l’effettivo esercizio del potere sulla cosa in modo duraturo ed esclusivo, ma è necessario che il possessore provi anche l’assenza di una condotta tollerante del proprietario.
In tali casi, infatti, secondo i giudici di legittimità, opererebbe una presunzione semplice di tolleranza all’altrui godimento del bene, suscettibile di essere superata dal possessore solo con la prova puntuale di specifici atti di opposizione (come l’inizio di azioni giudiziarie) compiuti dal proprietario del bene nei suoi confronti.