Categoria: Tributario

Le notifiche telematiche nel processo tributario. Valida la notifica telematica effettuata all’indirizzo di p.e.c. presente nell’indice IPA.

Con una pronuncia inedita nel panorama giurisprudenziale, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente il quale si doleva della pronuncia di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado.

Ed invero, la Corte di merito ha ritenuto inesistente la notifica dell’appello effettuata telematicamente dal contribuente poiché l’indirizzo di p.e.c. del destinatario, indicato nella relata di notifica, era stato tratto dall’indice IPA piuttosto che dal registro PP.AA., indice che non potrebbe essere considerato pubblico alla data in cui fu effettuata la notifica.

A sostegno di un simile assunto, la Corte di merito citava la norma di cui all’art. 28, co. 1 del D.L. 76/2020, la quale prevede l’utilizzo degli indirizzi di p.e.c. registrati presso l’IPA solo a condizione che l’ente non abbia provveduto a registrare la propria p.e.c. presso il c.d. registro PP.AA., e precisava che, comunque, tale norma è entrata in vigore successivamente alla data della notifica dell’appello, sicché, in ogni caso l’utilizzo dell’indice IPA sarebbe stato precluso al contribuente, con conseguente inesistenza della notificazione e inammissibilità dell’appello.

Tuttavia la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, ha affermato che nel processo tributario trova applicazione la disciplina speciale di cui al combinato disposto dell’art. 16 bis del D.L. 546/1992 e del D.M. 163/2013.

Quest’ultimo espressamente dispone che per gli enti impositori, l’indirizzo di p.e.c.  è quello individuato dall’art. 47, co. 3 del D.lgs. 82/2005 pubblicato nell’I.P.A.

Pertanto, ritenuto che il processo telematico tributario è entrato in vigore nella regione Sicilia a far data dal 15/6/2017 e che la notifica de qua è certamente successiva (anno 2020), il contribuente ha correttamente notificato l’atto di appello applicando la normativa speciale vigente per il processo tributario.

Tempi duri, dunque, per gli avvocati i quali, oltre a doversi barcamenare tra le norme del diritto civile, penale, amministrativo, tributario e delle tante altre branche del diritto, sono costretti ad affrontare la spinosa e nuova questione del processo telematico nelle più varie sfaccettature, tra le quali spicca il tema della notifica.

Con sempre maggior frequenza si assiste a una pronuncia che, anziché risolvere le questioni di merito, si soffermano su questioni di forma “telematica”, sperperando le già scarse risorse umane ed economiche, che non apportano alcun utile contributo alla causa.

Si assiste così ad un florilegio di pronunce che affermano l’inesistenza di una notifica di un ricorso regolarmente ed effettivamente ricevuto dal destinatario (che ne rilascia ricevuta) nel proprio indirizzo di p.e.c., risultante da tutti i registri esistenti, solo perché nella relata di notifica risulta che l’indirizzo di p.e.c. è stato preso da un registro piuttosto che da un altro.

Orbene, a parte la confusione che un tale sistema ha ingenerato tra gli operatori di diritto che hanno poca dimestichezza con lo strumento informatico (tra i quali il giudice a quo delle controversie oggetto di commento), pare proprio che i problemi del processo telematico siano solo all’alba! Ci dobbiamo aspettare altro?

Agenzia della Riscossione – solo la sede competente territorialmente può emettere gli atti della riscossione.

Con la sentenza n. 2720/2023 la Corte di Giustizia Tributaria di 2 grado della Sicilia, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, ha affermato la nullità della cartella di pagamento emessa dall’Agenzia dell’Entrate Riscossione sede di Catania nei confronti di un contribuente domiciliato fiscalmente in provincia di Caltanissetta per violazione della disciplina relativa alla competenza territoriale dell’Agente della Riscossione attualmente vigente anche dopo il subentro dell’Agenzia dell’Entrate Riscossione ad Equitalia e, in Sicilia, a Riscossione Sicilia S.p.A.

RIMBORSO DEL CREDITO IVA PER L’IMPRESA CHE HA CESSATO L’ATTIVITA’ – ASSENZA DEL MODELLO VR.

La Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia ha accolto le istanze dell’impresa in ordine al rimborso del credito I.V.A., chiesto dopo la cessazione dell’attività e negato dall’Agenzia delle Entrate sul presupposto che non fosse stato presentato il modello VR, né le dichiarazioni dei redditi successive all’anno di riferimento dell’imposta.

I giudici tributari mostrano di aderire all’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo cui la mancata presentazione del modello VR – non costituendo l’unica modalità per ottenere il rimborso – non determina per il contribuente la perdita del credito I.V.A., il quale, se effettivamente spettante, deve essere sempre rimborsato integralmente.

Nell’ipotesi in cui l’impresa abbia cessato l’attività, non potendosi portare in detrazione nell’anno successivo l’eccedenza del credito I.V.A, il rimborso non è subordinato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, ma unicamente alla richiesta di rimborso soggetta al termine di prescrizione decennale.

RIMBORSO IVA SE INSERITO IN DICHIARAZIONE VA IN PRESCRIZIONE DOPO 10 ANNI.

Anche la Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento conferma l’orientamento espresso recentemente da diversi giudici secondo cui, dopo che il credito IVA è inserito in dichiarazione, la decadenza biennale non può essere addebitata al creditore, il quale, da tale momento, avrà 10 anni per riscuotere il credito anche con una semplice richiesta con raccomandata a pena di prescrizione e non necessariamente con i modelli (VR) richiesti dall’Agenzia delle Entrate.

IVA AGEVOLATA SULLA PRIMA CASA NON DECADE IL BENEFICIO SE IL MANCATO TRASFERIMENTO E’ INCOLPEVOLE.

La Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta ha accolto il ricorso presentato da una coppia, che ha impugnato l’avviso emesso dall’Agenzia delle Entrate, la quale aveva dichiarato decaduti i coniugi dal beneficio dell’IVA agevolata al 4%, in quanto non avevano trasferito la propria residenza nell’immobile acquistato entro 18 mesi dall’acquisto.

I coniugi hanno dimostrato che il mancato trasferimento era dipeso da fatti che impedivano di abitare l’immobile e che non avevano alcuna colpa al riguardo.