Riconosciuta al docente la completa equiparazione del servizio precario con quello di ruolo.

Il Tribunale di Catania ha accolto il ricorso proposto da una docente di scuola pubblica la quale ha ottenuto la completa equiparazione del servizio precario dal 2001 al 2012 con quello di ruolo.

Le sono stati riconosciuti quindi i servizi ai fini dei punteggi in tutte le graduatorie, la progressione stipendiale a pieno titolo e il pagamento dei mesi estivi di luglio e agosto.

La sentenza, invero, ha riconosciuto pure la trasformazione del contratto a tempo indeterminato e il risarcimento del danno pari a 7 mensilità lorde, ma su questi due punti la sentenza è stata modificata dalla Corte d’Appello che ha tuttavia confermato la legittimità della equiparazione.

                                           REPUBBLICA ITALIANA

                                  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

                TRIBUNALE CIVILE DI CATANIA – SEZIONE LAVORO – 

Il Giudice Monocratico, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa Caia, all’udienza del xx/xx/xxxx  ha pronunciato, ai sensi dell’art. 429, comma 1 c.p.c. come sostituito dall’art. 53 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla L 6 agosto 2008 n. 133, la seguente

                                                      SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 3356 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2015 e vertente 

                                                          TRA

Tizia, nata a Alfa il xx/xx/xxxx, c.f. xxxxxxxxxxxxx, ivi residente in via beta, ed elettivamente domiciliata in Gamma, via tal dei tali n. 1, presso lo studio dell’avv. Sempronio 1, che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’avv. Sempronio 2; per mandato in calce al ricorso introduttivo del giudizio.

                                                                                                                                                                                                                                                     Ricorrente

                                                     CONTRO

MINISTERO dell’ISTRUZIONE dell’UNIVERSITÀ e della RICERCA, in persona del Ministrop.t.

USR – UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE per la Sicilia, in persona del dirigente p.t., entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania presso i cui uffici, in via Vecchia Ognina n. 149, sono ex lege domiciliati.

                                                                                                                   Resistenti

OGGETTO: Riconoscimento di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e diritti accessori, risarcimento danni ed altro.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso al Tribunale Ordinario di Catania, in funzione di Giudice del Lavoro, depositato in data xx/xx/xxxx, la ricorrente premetteva di essere docente precaria e di aver stipulato sin dal xx/xx/xxxx  – e successivamente con cadenza annuale – con l’amministrazione scolastica i contratti di lavoro a termine descritti nel medesimo atti introduttivo, tutti per 24 ore settimanali e tutti relativi a supplenze su

posti vacanti e disponibili e nonostante ciò (segnatamente per quelli degli anni xxxx, xxxx, xxxx e xxxx, con scadenza al xx giugno e non già al xx agosto) non aveva percepito alcuna retribuzione per i mesi di luglio ed agosto di tali anni.

Precisava che, dopo alcuni trasferimenti si sede, in data xx/xx/xxxx aveva stipulato un contratto a tempo indeterminato in qualità di docente di scuola primaria con l’Ufficio Regionale Scolastico per la Delta, U.S.P. di Gamma e Circolo Didattico di Tal dei tali con decorrenza giuridica dall’1.09.2008. Successivamente alla nomina in ruolo, la ricorrente aveva chiesto il passaggio al ruolo dell’infanzia, al fine di richiedere il trasferimento in Sicilia, che otteneva xx/xx/xxxx, deduceva che per tutto il periodo di lavoro con i vari contratti aveva mantenuto un trattamento economico corrispondente al livello iniziale senza adeguamenti stipendiali.

Chiedeva, pertanto, riconoscersi l’illegittimità dei contratti a termine e per l’effetto il riconoscimento della anzianità di servizio di ruolo sin dalla stipula del primo contratto (xx/xx/xxxx), il proprio diritto alla rideterminazione ai fini giuridici ed economici della scadenza contrattuale al xx agosto anziché xx giugno, nonché alla progressione stipendiale attribuita ai docenti di ruolo o, in subordine, a quella prevista dall’art. 53 della L 312/1980, al risarcimento del danno, con la relativa condanna a carico dell’amministrazione scolastica. Condannarsi il resistente Ministero al pagamento delle retribuzioni per i mesi di luglio ed agosto dei suindicati anni.

Fissata l’udienza di comparizione e discussione, con istanza ritualmente depositata veniva chiesta l’anticipazione dell’udienza, in ragione dell’imminente attuazione delle procedure di mobilità previste dall’art. 1, comma 108, della L 107/2015, che veniva accolta e fissata l’udienza del xx/xx/xxxx, nella quale veniva rinviata per la discussione, previa concessione di termine per il deposito di note conclusive.

Con provvedimento della presidenza sezionale di questo Tribunale del xx/xx/xxxx, il sottoscritto giudicante, veniva incaricato della trattazione del presente giudizio ed all’odierna udienza, sulle conclusioni rassegnate dalle parti come in atti ed all’esito della discussione, veniva pronunciata la presente sentenza, della quale è stata data lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dal resistente Ministero, in quanto non si può applicare tale prescrizione ad un credito non meramente retributivo, ma derivante da violazione di direttiva comunitaria, che è pertanto soggetto a prescrizione ordinaria decennale (Cfr.: Cass. 10813/2011).

Prima di entrare nel merito della questione, appare doveroso ricostruire il quadro normativo che regola la materia oggetto del contendere.

Per quanto riguarda la pubblica istruzione il sistema normativo vigente prevede come regola generale quella dell’accesso al ruolo del personale docente per la scuola materna, elementare e secondaria mediante concorso per titoli ed esami ex art. 399 D. Lgs. 297/94. Tuttavia la stessa normativa prevede, altresì, la formazione di graduatorie permanenti cui si accede per soli titoli. 

In particolare la norma di cui all’art. 401 D. Lgs. 297/94 espressamente detta: “Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, sono trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all’art. 399, comma 1.  

2. le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l’inserimento dei docenti che hanno superato le prove dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all’inserimento dei nuovi aspiranti è effettuato l’aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono già compresi nella graduatoria permanente.

3. Le operazioni di cui al comma 2 sono effettuate secondo modalità da definire con regolamento da adottare con decreto del Ministro della pubblica istruzione, secondo la procedura prevista dall’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto dei seguenti criteri: le procedure per l’aggiornamento e l’integrazione delle graduatorie permanenti sono improntate a principi di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa salvaguardando comunque le posizioni di coloro che sono già inclusi in graduatoria.  

4. La collocazione nella graduatoria permanente non costituisce elemento valutabile nei corrispondenti concorsi per titoli ed esami.  

5. le graduatorie permanenti sono utilizzabili soltanto dopo l’esaurimento delle corrispondenti graduatorie compilate ai sensi dell’art. 17 del decreto-legge 3 maggio 1988, n. 140, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 1988, n. 246, e trasformate in graduatorie nazionali dall’art. 8 bis del decreto legge 6 agosto 1988, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 ottobre 1988, n. 426, nonché delle graduatorie provinciali di cui agli articoli 43 e 44 della legge 20 maggio 1982, n. 270.  

6. La nomina in ruolo è disposta dal dirigente dell’amministrazione scolastica territorialmente competente.  

7. le disposizioni concernenti l’anno di formazione di cui all’art. 440 si applicano anche al personale docente assunto in ruolo ai sensi del presente articolo.  

8. La rinuncia alla nomina in ruolo comporta la decadenza dalla graduatoria per la quale la nomina stessa è stata conferita.  

9. Le norme di cui al presente articolo si applicano, con i necessari adattamenti, anche al personale educativo dei convitti nazionali, degli educandati femminili dello Stato, e delle altre istituzioni educative.” 

Orbene se questo è il quadro normativo attualmente in vigore appare evidente che il Legislatore ha ritenuto opportuno individuare due meccanismi concorsuali, uno per titoli ed esami, l’altro per soli titoli, tali da garantire in maniera equivalente il rispetto del principio dell’assunzione dei pubblici dipendenti mediante concorso, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, mirando il meccanismo concorsuale ad una selezione dei concorrenti che possiedono in misura maggiore i requisiti attitudinali e professionali richiesti, criterio, questo, che ben può essere ottenuto e mantenuto anche solo mediante il possesso dei titoli richiesti per l’accesso alla suddetta graduatoria. 

Non può, infatti, essere un caso che la graduatoria permanente debba essere via via aggiornata con l’inserimento o l’eventuale scorrimento nella medesima dei soggetti che abbiano superato anche l’esame richiesto dal meccanismo concorsuale di cui al citato art. 399 D. Lgs. 297/94. 

Del resto già la selezione dei titoli in possesso prevede che il soggetto abbia effettuato un percorso formativo, dato che fra i titoli richiesti per accedere alla graduatoria sopra citata vi sono quelli del diploma di laurea e di altri corsi di specializzazione eventualmente effettuati, ovvero titoli professionali acquisiti, con la conseguenza che già dall’esame dei titoli posseduti dal soggetto è possibile verificarne quella idoneità professionale ed attitudine alla funzione cui aspira. 

Non può essere che questa la ratio legis e la volontà del Legislatore che, come detto, ha previsto il doppio binario sopra ricordato. 

Peraltro il meccanismo di graduatorie concorsuali basate sul solo possesso di titoli è modalità nota non solo nella legislazione interna, ma ancor più ed ancor prima in quella comunitaria che da sempre lo prevede quale modalità di assunzione anche a carattere definitivo.

A questo punto occorre vedere se il meccanismo di assunzione a tempo determinato del comparto scolastico previsto dalle norme di cui al D.Lgs. 297/94 e dalla L. 124/99, nonché dalle successive modifiche ed integrazioni possa in qualche modo venire in contrasto con le clausole 4 e 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43), dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 91/533/CEE del Consiglio, del 14 ottobre 1991, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (GU L 288, pag. 32), del principio di leale cooperazione previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché dei principi generali del diritto dell’Unione relativi alla certezza del diritto, alla

tutela del legittimo affidamento, all’uguaglianza delle armi nel processo, all’effettiva tutela giurisdizionale, al diritto a un tribunale indipendente e a un equo processo, garantiti dall’articolo 6, paragrafo 2, TUE, letto in combinato disposto con l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), e con gli articoli 46, 47 e 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 

A tale proposito si è espressa la Corte Europea, investita della questione, con la pronuncia del 26.11.2014 ribadendo che “….Occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v. in particolare, sentenze Adeneler e a., C-212/04, EU:C:2006:443, punto 63; Kücük, C-586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 54).  

73 – Come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro, così come dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (sentenze Adeneler e a., EU:C:2006:443, punto 62, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 55).  

74 – Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (v. in particolare, sentenze Kücük, EU:C:2012:39, punto 26, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 56).  

75 – Gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità a tale riguardo, dal momento che essi hanno la scelta di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (v. sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 59 nonché giurisprudenza ivi citata).

76 – Così facendo, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro fissa agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di siffatti abusi, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguire ciò, purché essi non rimettano in discussione l’obiettivo o l’effetto utile dell’accordo quadro (sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 60).

77 – Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 62 nonché giurisprudenza ivi citata).”

Questo, però, come sottolineato ripetutamente dalla Corte Europea, non vuol dire che l’accordo quadro enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. 

Infatti, la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. 

Da ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso dei contratti a tempo indeterminato, ne consegue, quindi, che è di esclusiva competenza del giudice investito della causa di merito valutare in che misura i presupposti per l’applicazione, nonché l’effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno, costituiscano una misura adeguata per prevenire e, se del caso, punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. 

Le norme nazionali sopra riportate che regolano l’assunzione a tempo determinato del personale docente consentono di assumere docenti con una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per il conferimento di supplenze, senza prevedere alcuna misura che limiti la durata massima totale di tali contratti o il numero dei loro rinnovi, in palese violazione della norma quadro comunitaria prima citata. 

In particolare, preme rilevare che l’articolo 10, comma IV bis, del D. Lgs. n. 368/2001 esclude l’applicazione alla scuola statale dell’articolo 5, comma IV bis, di detto decreto, che prevede che i contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a 36 mesi siano trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato, permettendo così un numero di rinnovi illimitato di siffatti contratti. È anche incontestato che la normativa nazionale di cui trattasi non prevede alcuna misura equivalente a quelle enunciate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro citato. Ne consegue che in tali

circostanze, è importante che il rinnovo di siffatti contratti di lavoro sia giustificato da una «ragione obiettiva» ai sensi proprio della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, più volte citato. 

Appare evidente, infatti, e traspare dal punto 7 delle considerazioni generali di tale accordo che i firmatari dell’accordo quadro hanno ritenuto che l’uso di contratti di lavoro a tempo determinato basato su ragioni obiettive sia un mezzo per prevenire gli abusi.

Sulla nozione di «ragioni obiettive» che figura nella clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, la Corte Europea ha già dichiarato ed esplicitato che essa debba essere intesa nel senso che si debba far riferimento a cause precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in questo peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di un singolo Stato membro.

Risulta manifesto, quindi, che una disposizione nazionale che si limita ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non soddisfa i requisiti precisati dalla Corte Europea nella citata e riportata sentenza, poiché, infatti, una disposizione di tal genere, ha natura puramente formale e non consente, di fatto, di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine. Una siffatta disposizione comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro. 

Se questa è la posizione della Corte Europea e deve in questo modo interpretarsi il dettato normativo di riferimento cristallizzato dall’accordo quadro deve dedursi che quando ci si trovi in presenza di reiterati contratti a tempo determinato, anche in ambito scolastico, privi della ragione obiettiva posta a fondamento del contratto a tempo determinato ed in presenza del doppio binario concorsuale previsto dalla legislazione interna, il contratto de quo debba intendersi a tempo indeterminato ab origine, con ogni consequenziale riconoscimento da un punto di vista retributivo, contributivo e di progressione. 

Ciò è ancor più vero se si prende in considerazione che il Legislatore recependo i principi sopra enucleati con il D. Lgs. 368/01 ha espressamente previsto che, in caso di contratti a termine nell’ambito del pubblico impiego debbano essere esplicitate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, con la conseguenza che per essere corrispondente al requisito nell’atto di assunzione a tempo determinato il datore, senza alcuna possibilità di integrazione successiva, deve indicare in

maniera esplicita le puntuali esigenze datoriali che hanno resa necessaria l’assunzione a termine, ragioni che devono essere univocamente ed immediatamente percepibili per consentire, prima al lavoratore ed eventualmente, poi, al giudice di valutare l’effettività della causa, per evitare che il meccanismo de quo venga utilizzato per porre in essere contratti in frode alla legge, quindi assunzioni temporanee anche in assenza dei presupposti. 

Del resto è lo stesso Legislatore interno che con la norma di cui all’art. 5 del D. Lgs. 368/01 ha espressamente previsto che “…..quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”. 

Non solo, ma che debba accedersi a questa interpretazione ne è ulteriore conferma il fatto che solo in epoca successiva il Legislatore con D.L. n. 70/2011, art. 9, convertito in Legge n. 106/2011, il quale, con il comma 18, ha aggiunto, al D. Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, il comma 4 bis, secondo il quale: “Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 40, comma 1, e successive modificazioni, alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, comma 14 bis, e al D.,Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 6, comma 5, sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’art. 5, comma 4 bis, del presente decreto”. 

Ne consegue, a fortiori ed a contrario, che fino al 2011 l’art. 5 del D. Lgs. 368/01 si applicava e va applicato anche ai contratti del comparto scolastico. 

A ciò si aggiunga che nel CCNL del comprato scuola è stato previsto all’art. 40, che espressamente contempla la possibilità del lavoro a tempo determinato in ambito scolastico, che “… nei casi di assunzione in sostituzione di personale assente, nel contratto individuale è specificato per iscritto il nominativo del dipendente sostituito”. E’ evidente che la norma ora riportata recepisce a pieno le disposizioni di cui al D. Lgs. 368/01 e le direttive Comunitarie in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. 

Appare doveroso, infatti rilevare che è interesse precipuo di qualsivoglia ordinamento giuridico a tutela dei diritti universalmente riconosciuti dare preminenza al lavoro a tempo indeterminato che è la sola tipologia lavorativa che può garantire all’individuo non solo la fonte di sostentamento per sé e per i propri familiari, ma anche quella dignità nell’ambito sociale che viene ontologicamente preclusa dalla precarietà della situazione lavorativa, che impedisce qualsiasi tipo di progettualità (familiare e non) ed è

di fatto all’origine delle crisi storiche, economiche e sociali a tutti tristemente note specie nel presente momento storico. Senza contare che la precarietà lavorativa ha un costo sociale enorme in quanto costringe la struttura pubblica a farsi carico delle situazioni che sia da un punto di vista esistenziale che assistenziale non riescono ad avere il necessario minimo sostentamento per provvedere alle esigenze vitali (mangiare, vestirsi, curarsi …).

Del resto in perfetto assetto con quanto appena espresso è la stessa norma del citato art. 40 del CCNL comparto scuola che al IV comma detta: “….Il rapporto di lavoro a tempo determinato può trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato per effetto di specifiche disposizioni normative” (ndr: art. 5 D. Lgs 368/01).

Tanto più ciò deve essere ritenuto possibile laddove si pensi, per le motivazioni sopra illustrate, che nel caso della pubblica istruzione anche l’eventuale ostacolo relativo alla necessità del meccanismo concorsuale viene meno avendo il Legislatore ab origine previsto il duplice binario sopra riportato (concorso per titoli ed esami: immissione in ruolo; graduatoria permanente: concorso per soli titoli).

Tornando al caso di specie, la ricorrente è stata assunta a tempo indeterminato solo a decorrere dall’1.09.2012.

Sulla base dei principi sopra evidenziati, però, appare evidente che i contratti a tempo determinato oggi impugnati non riportano le cause precise e concrete che giustificano la supplenza annuale, non si fa, infatti, alcun riferimento ad una eventuale sostituzione per maternità o per malattia e, conseguentemente, del soggetto che si deve sostituire con diritto del medesimo al mantenimento del posto, ovvero ad altre esigenze non preventivabili. 

Ne consegue che deve desumersi che dette supplenze siano volte a far fronte alla ormai cronica e nota carenza di organico che investe tutta la Pubblica Amministrazione ivi compreso il settore scolastico 

Ma se così è, e non può che essere così, e fermi i principi sopra ricordati sia di carattere sovranazionale come indicati dalla Corte di giustizia Europea, che più specificamente indicati dalle norme interne di riferimento, appare evidente che detto contratto debba essere ritenuto a tempo indeterminato ab origine in quanto l’apposizione del termine è stata effettuata in maniera illegittima e il soggetto investito del contratto a tempo determinato risulta in possesso di tutti i requisiti necessari ai fini dell’assunzione definitiva essendo inserito nella graduatoria concorsuale permanete cui si accede per soli titoli, sulla base di una decisione discrezionale del Legislatore che ha previsto il doppio binario sopra ricordato. 

Non può, infatti, ritenersi non convertibile il contratto de quo in quanto la ricorrente non avrebbe partecipato alla procedura concorsuale per titoli ed esami, dato che risulta inserita nella graduatoria permanente che prevede l’accesso e la formazione della stessa, sempre su base concorsuale ma per soli titoli. Pertanto, in presenza del duplice presupposto previsto dal Legislatore (meccanismo

concorsuale, seppur per soli titoli già di per sé stessi ritenuti selezionatori, e carenza di organico) non sussistono elementi ostativi a riconoscere il diritto della ricorrente alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con effetti retrodatati, sin dal primo contratto, con la decorrenza ritenuta di diritto in relazione alla rassegnata sequenza contrattuale e con prosecuzione dell’attività di lavoro nel profilo professionale di competenza.

Quanto alla domanda relativa alla rideterminazione delle scadenze contrattuali di cui si tratta al 31 agosto, va condiviso l’orientamento al riguardo già espresso da questo Tribunale. 

La materia delle supplenze nella scuola è disciplinata dall’art. 4 della L. n. 124/99, il quale prevede quanto segue: “Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo. 2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività. didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi l e 2 si provvede con supplenze temporanee. 4. I posti delle dotazioni organiche provinciali non possono essere coperti in nessun caso mediante assunzione di personale docente non di ruolo.5. Con proprio decreto da adottare secondo la procedura prevista dall’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della pubblica istruzione emana un regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee nel rispetto dei criteri di cui ai commi seguenti. 6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all’art. 401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell’art.1 della presente legge.7. Per il conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto. I criteri, le modalità e i termini per la formazione di tali graduatorie sono improntati a principi di semplificazione e snellimento delle procedure con riguardo anche all’onere di documentazione a carico degli aspiranti … 10. Il conferimento delle supplenze temporanee è consentito esclusivamente per il periodo di effettiva permanenza delle esigenze di servizio. La relativa retribuzione spetta limitatamente alla durata. effettiva delle supplenze medesime. 11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si

applicano anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA). Per il conferimento delle supplenze al personale della terza qualifica di cui all’art. 51 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto “Scuola”, pubblicato nel supplemento ordinario n. 109 alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1995, si utilizzano le graduatorie dei concorsi provinciali per titoli di cui all’art. 554 del testo unico.”  

La norma in esame quindi distingue tra supplenze destinate a coprire posti vacanti e supplenze destinate a coprire posti non vacanti; nella prima ipotesi la durata della supplenza sarà annuale e coinciderà con la chiusura dell’anno scolastico (31 agosto), nel secondo terminerà alla cessazione delle attività didattiche (30 giugno). 

L’interpretazione delle norme condivisa da questo decidente si pone in linea anche con l’orientamento della giurisprudenza di merito (Cfr.: ex multis, Tribunale di Pordenone, sent. n. 145/09 dell’8.10.2009; Tribunale di Trani, sent. del 13.07.2009; Tribunale di Milano, sent. n. 1928/09; Tribunale di Sassari del 2.5.2008). 

Nella fattispecie in esame non è stato contestato dall’amministrazione costituitasi in giudizio che le supplenze conferite alla ricorrente fossero finalizzate a coprire un posto vacante e disponibile.

Alla luce delle superiori considerazioni deve riconoscersi il diritto della stessa a vedersi riconosciuti i diritti economici e giuridici per i mesi di luglio e agosto in relazione agli anni scolastici 2002, 2005, 2007 e 2008, nell’entità dell’importo previsto dalla normativa applicabile, oltre interessi legai dal sorgere dei crediti al soddisfo. 

Venendo alla domanda relativa alla progressione stipendiale, va condiviso l’orientamento espresso da ultimo dalla Corte di Appello di Roma nella sentenza del 21 marzo 2015 n. 2488, che qui di seguito si riporta quasi testualmente anche nella parte relativa agli scatti biennali di anzianità stante l’interesse alla completezza del quadro espositivo in materia. 

La legge 312/1980, intitolata “nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato” per il personale della scuola immesso stabilmente in ruolo prevedeva, all’art. 50, lo stipendio annuo lordo iniziale stabilito per ciascuna delle otto qualifiche funzionali di inquadramento e riconosceva una progressione economica legata all’anzianità di servizio, stabilendo che “Al compimento di tre, sei, dieci, quindici o venti anni di servizio senza demerito nella qualifica di appartenenza sono attribuite altre classi di stipendio con un aumento costante del 16 per cento dello stipendio iniziale di livello. Nel periodo di permanenza in ciascuna classe di stipendio, compresa l’ultima, sono corrisposti aumenti di stipendio in ragione del 2,50 per cento dello stipendio previsto per la classe stessa per ogni biennio di servizio prestato senza demerito. Gli aumenti biennali di stipendio maturati in ciascuna classe sono riassorbibili al conseguimento della classe di stipendio successiva”.  

L’art. 53 disciplinava, invece, il trattamento economico del personale non di ruolo, docente e non docente, richiamando al comma 1 “lo stipendio iniziale del personale di ruolo di corrispondente qualifica” ed aggiungendo, al comma 3, che “Al personale di cui al presente articolo, con nomina da parte del Provveditore agli studi od altro organo in base a disposizioni speciali, escluse in ogni caso le supplenze, sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1° giugno 1977 in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio iniziale.” Una diversa progressione veniva stabilita per i docenti di religione per i quali, al comma 6, veniva prevista, dopo quattro anni di insegnamento, “una progressione economica di carriera con classi di stipendio corrispondenti all’ottanta per cento di quelle attribuite ai docenti laureati di ruolo, con l’obbligatorietà di costituzione e accettazione di posto orario con trattamento cattedra”.  

Già il tenore testuale della norma, che esclude espressamente le supplenze, rende evidente la inapplicabilità della stessa al personale della scuola assunto a tempo determinato, a prescindere dalla durata della supplenza (sul punto assolutamente costante la giurisprudenza amministrativa che aveva escluso la applicabilità della norma alle supplenze anche se annuali e se conferite dal Provveditore agli studi – C.d.S. 2163/2000 e negli stessi termini Tar Lazio 9252/2006), essendo la disposizione finalizzata a disciplinare il trattamento economico dei docenti e del personale non educativo della scuola non immessi stabilmente nei ruoli ma, comunque, legati alla amministrazione da rapporto di impiego a tempo indeterminato.

Nella sentenza 146/2013 la Corte Costituzionale, per pervenire alla dichiarazione di inammissibilità della prima questione sollevata dalla Corte di Appello di Firenze (che aveva ipotizzato una disparità di trattamento tra i supplenti assunti ai sensi dell’art. 4 della legge 124/1999 ed i docenti non di ruolo assunti a tempo indeterminato) perché fondata su una erronea rappresentazione del quadro normativo, ha evidenziato che “La categoria dei docenti incaricati risale ad un’epoca del tutto diversa rispetto a quella odierna, nella quale l’innalzamento dell’obbligo scolastico e la crescita della popolazione avevano creato una situazione di continua necessità di assunzione di nuovi docenti. Si trova menzione di tale figura già nella legge 19 marzo 1955, n. 160 (Norme sullo stato giuridico del personale insegnante non di ruolo delle scuole e degli istituti di istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica), il cui art. 3 prevedeva la possibilità di conferire incarichi annuali di insegnamento, da parte dei vari provveditori agli studi, in relazione alle cattedre ivi indicate, stabilendo che l’incarico annuale potesse essere confermato a domanda. La legge 28 luglio 1961, n. 831 (Provvidenze a favore del personale direttivo ed insegnante delle scuole elementari, secondarie ed artistiche, dei provveditori agli studi e degli ispettori centrali e del personale ausiliario delle scuole e degli istituti di istruzione secondaria ed artistica), ampliò gli spazi degli incarichi, stabilendo che gli stessi divenissero triennali (art. 6), con

annesso riconoscimento degli incrementi stipendiali (art. 7) c del conseguente trattamento di quiescenza per gli incaricati forniti di abilitazione all’insegnamento (art. 8). La legge 13 giugno 1969, n. 282 (Conferimento degli incarichi e delle supplenze negli istituti di istruzione secondaria), dispose (art. 1) che alla copertura delle cattedre cui non era assegnato personale docente di ruolo si provvedesse «con personale docente non di ruolo, che viene assunto con incarico a tempo indeterminato», in tal modo istituendo la figura del docente incaricato a tempo indeterminato, mentre l’art. 2 del decreto-legge 19 giugno 1970, n. 366 (Istituzione delle cattedre, non licenziabilità degli insegnanti non di ruolo, riserve dei posti e sospensione degli esami di abilitazione all’insegnamento, nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica), convertito, con modifiche, dalla legge 26 luglio 1970, n. 571, dispose la non licenziabilità degli insegnanti abilitati con nomina a tempo indeterminato. Tuttavia già l’art. 1 della legge 9 agosto 1978, n. 463 (Modifica dei criteri di determinazione degli organici e delle procedure per il conferimento degli incarichi del personale docente e non docente; misure per l’immissione in ruolo del personale precario nelle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche, nonché nuove norme relative al reclutamento del personale docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado), abrogando sia l’art. 1 della legge n. 282 del 1969 che l’art. 2 del d.l. n. 366 del 1970, sancì la fine degli incarichi a tempo indeterminato, poi soppressi definitivamente dall’art. 3 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 281 (Proroga degli incarichi del personale docente, educativo e non docente delle scuole materne, elementari, secondarie, artistiche e delle istituzioni educative nonché delle istituzioni scolastiche e culturali italiane all’estero), convertito, con modifiche, dalla legge 24 luglio 1981, n. 392, la cui previsione trova conferma nel successivo art. 15, quarto comma, della legge 20 maggio 1982, n. 270 (Revisione della disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica, ristrutturazione degli organici, adozione di misure idonee ad evitare la formazione di precariato e sistemazione del personale precario esistente).”  

Dall’iter normativo sintetizzato dalla Corte emerge, dunque, che al momento della contrattualizzazione del rapporto con il personale della amministrazione scolastica l’art. 53 della legge 312/1980 poteva dirsi vigente ed efficace solo relativamente ai docenti di religione e ad alcune particolari categorie di insegnanti che, sebbene non immesse nei ruoli, prestavano attività sulla base, non di supplenze temporanee o annuali, bensì in forza di contratti a tempo indeterminato (è il caso dei docenti di educazione musicale il cui rapporto è stato ritenuto a tempo indeterminato da Cass. 8.4.2011 n. 8060 che ha ribadito la non spettanza degli scatti biennali ai supplenti ed al personale “il cui rapporto di servizio trova fondamento in incarichi attribuiti di volta in volta e si interrompe nell’intervalli tra un incarico e l’altro“). 

Da detto dato non si può prescindere nella interpretazione del CCNL succedutisi nel tempo che avrebbero, direttamente o indirettamente, attribuito il diritto agli scatti biennali, attraverso il richiamo dell’art. 53 della legge 12/1980.

Con il contratto per il quadriennio normativo 1994/1997 ed il biennio economico 1994/1995, le parti collettive hanno previsto all’art. 47 che “Nei casi previsti dal D.Lgs. n. 297 del 1994, in sostituzione dei provvedimenti di conferimento di supplenza annuale e di supplenza temporanea,si stipulano contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 18. Al personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data di effettiva assunzione del servizio e fino al termine del servizio medesimo“. La struttura della retribuzione del personale assunto a tempo indeterminato è stata disciplinata dal successivo art. 63, a norma del quale la stessa si compone “delle seguenti voci: – trattamento fondamentale: a) stipendio tabellare, comprensivo della retribuzione individuale di anzianità e dell’indennità di funzione; b) indennità integrativa speciale. – trattamento accessorio: c) fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di cui all’ art. 71; d) compenso per la qualità della prestazione di cui all’art. 77; e) indennità di direzione per i capi d’istituto di cui all’art. 75; f) indennità di amministrazione di cui all’art. 76 per il personale con le qualifiche I e II individuate dall’ art. 51, comma 2; g) altre indennità previste dal presente contratto e da specifiche disposizioni di legge; h) ore eccedenti di cui all’art. 70.”  

Il contratto contiene un espresso richiamo all’art. 53 della legge 312/1980, ma lo stesso, contenuto nel comma 7 dell’art. 66, è limitato ai soli insegnanti di religione per i quali è prevista la perdurante vigenza della norma, così come integrata dal d.p.r. 399/1988 ( art. 66 – Attribuzione del nuovo trattamento economico al personale in servizio al 31.12.1995 – comma 7: Per gli insegnanti di religione restano in vigore le norme di cui all’art. 53 della legge n. 312 del 1980, modificate e integrate dal D.P.R. 399 del 1988, art. 3, commi 6 e 7.)  

È utile osservare che nel CCNL per tutto il personale, sia esso a tempo determinato o indeterminato, sparisce ogni riferimento agli scatti biennali di anzianità, giacché nell’art. 63 lo stipendio tabellare viene indicato come comprensivo “della retribuzione individuale di anzianità” (e nell’allegato A all’art. 71 del d.lgs 165/2001 al punto VI lett. h risulta espressamente indicato fra le norme abrogate l’art. 50 della legge 312/1980 che, come si è visto, riconosceva ai docenti di ruolo gli scatti biennali) e nell’art. 47 il trattamento economico per il personale a tempo determinato viene quantificato con il richiamo a quello “iniziale” previsto per gli assunti a tempo indeterminato. Non rileva, pertanto, che l’art. 53 della legge 312/1980 non sia stato inserito fra le disposizioni espressamente disapplicate dal 1° comma dell’art. 82, giacché la disposizione prevede anche, al secondo comma, una norma di chiusura (Le disposizioni non

indicate nel precedente comma 1 rimangono in vigore ad eccezione di quelle comunque contrarie o incompatibili con il presente contratto) escludendo la perdurante vigenza delle discipline contrarie o incompatibili con quelle dettate dalle parti collettive. In sintesi, dunque, il CCNL 1994/1997 ha affermato la perdurante vigenza del solo 6° comma dell’art. 53, relativo ai docenti di religione, e non poteva essere diversamente giacché, come si è visto, le restanti parti della disposizione erano finalizzate a dettare la disciplina del rapporto con la categoria degli assunti non di ruolo a tempo indeterminato, soppressa dalle leggi 392/1981 e 270/1982, con le quali era stato previsto che le vacanze di organico sarebbero state coperte unicamente con supplenze annuali conferite dal Provveditore agli Studi, non ricomprese nella previsione del richiamato art. 53.

A conclusioni non dissimili si perviene esaminando il contenuto dei contratti collettivi successivi. 

Va premesso al riguardo che, a partire dal CCNL 1998/2001, la struttura della retribuzione del personale a tempo indeterminato è stata modificata con la previsione, contenuta nell’art. 16, di un sistema di progressione professionale per posizioni stipendiali (Al personale scolastico viene attribuito un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali. Il passaggio tra una posizione stipendiale e l’altra potrà essere acquisito al termine dei periodi previsti dall’allegata tabella E, sulla base dell’accertato utile assolvimento di tutti gli obblighi inerenti alla funzione) attribuite sulla base del servizio prestato e secondo la seguente sequenza: 0/2; 3/8; 9/14; 15/20; 21/27; 28/34; 35 ed oltre. 

È sparito, quindi, definitivamente ogni richiamo non solo agli scatti biennali (venuti già meno con la prima tornata contrattuale) ma anche alla retribuzione individuale di anzianità. 

È rimasta, invece, immutata la disciplina del trattamento economico del personale assunto a tempo determinato, sempre commisurato alla posizione iniziale prevista per la corrispondente qualifica dei dipendenti legati alla amministrazione da contratto a tempo indeterminato. 

Anche il C.C.N.L. 1998/2001, che non contiene alcun richiamo espresso all’art. 53 della legge 312/1980, stabilisce all’art. 48 che “le norme legislative, amministrative o contrattuali non esplicitamente abrogate o disapplicate dal presente CCNL, restano in vigore in quanto compatibili”, sicché, sulla base della disposizione di salvaguardia, solo il comma 6 ha continuato a spiegare effetti, essendo per il resto la normativa inapplicabile alle diverse categorie di personale e, comunque, non compatibile con la struttura della retribuzione, così come disciplinata dal contratto. 

Nessuna significativa modificazione è stata apportata dal C.C.N.L. 2002/2005 che ha ribadito la struttura della retribuzione fondata sulle posizioni stipendiali e, all’art. 142, ha richiamato fra le norme non disapplicate l’art. 53 della legge 312/1980, ma solo limitatamente ai docenti di religione, come reso evidente dall’inciso posto tra parentesi al punto 5 della lettera f). 

Detto inciso è, poi, scomparso nell’art. 146 del C.C.N.L. 2006/2009, che nuovamente ha inserito tra le norme non disapplicate la disposizione invocata dalla ricorrente. 

Peraltro la omessa precisazione si rivela sostanzialmente priva di rilievo se si considera il complesso iter normativo e contrattuale sopra sinteticamente riassunto, atteso che, come si è più volte detto, già al momento della contrattualizzazione del rapporto del personale della scuola la norma non disapplicata spiegava effetti solo per i docenti di religione, sicché la stessa, attraverso il meccanismo della non disapplicazione, non avrebbe mai potuto andare a disciplinare situazioni estranee alla sua originaria formulazione. 

In sintesi dall’esame della normativa di legge e di contratto alla quali sopra si è fatto riferimento si possono trarre le seguenti conclusioni: 

a) il sistema retributivo previsto per il personale di ruolo della scuola dall’art. 50 della legge 312/1980, fondato su classi stipendiali progressive e su maggiorazioni biennali del 2,50%, è stato integralmente sostituito dalla nuova disciplina contrattuale che prevede posizioni stipendiali per fasce di anzianità; 

b) i supplenti del personale docente e non docente della scuola hanno sempre ricevuto, anche antecedentemente alla contrattualizzazione, un trattamento economico pari a quello previsto per la posizione iniziale del personale a tempo indeterminato (di ruolo e non di ruolo) senza riconoscimento alcuno della anzianità, non applicandosi agli stessi l’art. 53 della legge 312/1980; 

c) la normativa invocata dalla ricorrente non è stata disapplicata solo limitatamente ai docenti di religione, che continuano quindi a percepire gli scatti di anzianità, ma nei limiti previsti dal richiamato sesto comma. 

Ciò posto, con riferimento specifico alla domanda volta ad ottenere la medesima progressione economica riconosciuta al personale della scuola a tempo indeterminato va osservato quanto segue. 

Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato è stato sancito, nell’ordinamento comunitario, dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, secondo la quale “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”; per il punto 4 della medesima clausola, in particolare, “i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.  

Nell’interpretare la Direttiva 1999/70/CE, la Corte di Giustizia UE (sent. 13.9.2007, C-307/05, Del Cerro Alonso), ha anzitutto richiamato la propria precedente giurisprudenza, secondo cui le prescrizioni dell’Accordo Quadro e della Direttiva sono applicabili anche “ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le Amministrazioni e con altri enti del settore pubblico” (v. sent. 4.7.2006, C-212/04, Adeneler e altre), trattandosi di “norme di diritto sociale comunitario di particolare importanza” che devono trovare applicazione a “tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro”.  

La Corte ha poi precisato che cosa debba intendersi per “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro, precisando che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, del Trattato UE (che esclude la materia della retribuzione dalle competenze delle istituzioni comunitarie) “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”.  

Affrontando, inoltre, lo specifico argomento della spettanza degli scatti di anzianità al personale assunto a termine dalle pubbliche Amministrazioni, di ruolo o non di ruolo, la CGE ha affermato: “La mera circostanza che un impiego sia qualificato come ‘di ruolo’ in base all’ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di rilevanza sotto questo aspetto, a pena di rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell’Accordo Quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari”.  

La Corte di Giustizia ha infine spiegato che la nozione di “ragioni oggettive” che, secondo la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, possono giustificare la deroga al principio di non discriminazione in materia di periodi di anzianità, “non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo“, ma solo quando “la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”. In conclusione, secondo la CGUE, la nozione di “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro ‘‘deve essere interpretata nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa … che

mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato”.  

Tali principi sono stati in seguito ribaditi dalla Corte di Giustizia (sent. 22.12.2010, nei procedimenti riuniti C-444/09, Gavieiro Gavieiro e C-456/09, Iglesias Torres) che ha ulteriormente precisato che “un’indennità per anzianità di servizio … rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’Accordo Quadro”.  

Ancora più di recente la Corte (ordinanza 7 marzo 2013 in causa C-393/11), pronunciando sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni dettate in tema di inquadramento dei dipendenti “stabilizzati” dall’art. 75 del d.I. 112/2008, ha richiamato detti principi, evidenziando innanzitutto che le ragioni oggettive che giustificano la diversità di trattamento, devono consistere in “elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.  

Deve, invece, escludersi che possa configurare una ragione oggettiva il mero richiamo alla natura temporanea del rapporto, in quanto ciò “svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della direttiva e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato” (punto 41). 

La Corte ha aggiunto che “il principio di non discriminazione, enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro, sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversità di trattamento….” essendo necessario “prendere in considerazione la natura particolare delle mansioni svolte dai resistenti nel procedimento principale” (punti 50 e 51). 

Infine nella ordinanza citata è stata anche affrontata la questione delle modalità di reclutamento e la Corte ha evidenziato che la diversità fra procedura di stabilizzazione e concorso pubblico può

giustificare una diversità di trattamento quanto alle condizioni di impiego solo qualora “un siffatto trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione” (punti 45 e 46). 

Nella sentenza 18 ottobre 2012 (in causa C-302/11 Valenza) pronunciata sempre con riferimento alle procedure di stabilizzazione, la Corte ha in sintesi affermato che “se nell’ambito della presente causa fosse dimostrato – conformemente alle deduzioni in tal senso svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali, rammentate al punto 47 della presente sentenza – che le funzioni svolte da queste ultime in veste di dipendenti di ruolo sono identiche a quelle che esse esercitavano in precedenza nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se fosse vero che, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la normativa nazionale in questione mira a valorizzare l’esperienza acquisita dai dipendenti con contratto a termine in seno all’AGCM, simili clementi potrebbero suggerire che la mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo determinato è in realtà giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di conseguenza, che la diversità di trattamento in esame nei procedimenti principali non è basata su giustificazioni correlate alle esigenze oggettive degli impieghi interessati dalla procedura di stabilizzazione che possano essere qualificate come «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro.”.  

È incontestato fra le parti che la ricorrente, assunta ripetutamente a tempo determinato nei periodi in atti descritti, è stata applicata la disciplina dettata dai vari CCNL del comparto Scuola succedutisi nel tempo, fondata sul principio già sancito dal D. Lgs. n. 297/1994 e ribadito a partire dal CCNL 1994/1998 (art. 53) secondo cui al personale amministrativo e tecnico non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale di ruolo, senza alcun riconoscimento dell’anzianità di servizio. 

Gli stessi CCNL, invece, prevedono per il personale assunto a tempo indeterminato un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali, e stabiliscono che il passaggio tra una posizione e l’altra avviene alla maturazione del primo biennio e dei successivi quinquenni di anzianità. 

L’oggettiva disparità di trattamento che sussiste, sotto il profilo retributivo, potrebbe ritenersi giustificata, ai sensi della Direttiva 1999/70/CE, soltanto ove fosse dimostrata l’esistenza di “ragioni oggettive“, che tuttavia – secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia – devono essere strettamente attinenti alle modalità di svolgimento della prestazione e non possono consistere nel carattere temporaneo del rapporto di lavoro; nel fatto che il datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione; nella circostanza che il trattamento deteriore sia previsto da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo né, infine, nella sola diversità delle modalità di reclutamento. 

Nel caso di specie il Ministero convenuto nulla ha all’uopo dedotto, facendo riferimento unicamente alla temporaneità dei singoli rapporti di lavoro. 

Infine non rileva per escludere la discriminazione la circostanza che nel settore scolastico al momento della definitiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato il periodo di servizio pregresso venga riconosciuto ai fini della anzianità di servizio. 

La trasformazione del rapporto, infatti, non è idonea a compensare la diversità di trattamento economico riferibile al periodo antecedente, giacché il riconoscimento dell’anzianità pre-ruolo ai fini dell’aumento retributivo opera solo dopo l’immissione definitiva nell’organico, e non comporta alcun recupero delle differenze retributive pregresse. Al contrario il riconoscimento della anzianità di servizio in caso di definita assunzione con contratto a tempo indeterminato finisce per confermare la insussistenza di ragioni oggettive idonee a giustificare la diversità di trattamento retributivo, giacché proprio detto riconoscimento muove dal presupposto della sostanziale identità della funzione tecnica-amministrativa svolta nelle due diverse fasi del rapporto. 

Il contrasto tra le previsioni del diritto dell’Unione e le regole dettate dalla normativa interna speciale del settore scolastico, non giustificato da “ragioni oggettive”, deve essere risolto dal giudice nazionale in favore delle prime, in ragione della loro superiorità nella gerarchia delle fonti, attraverso la disapplicazione delle norme interne configgenti. 

È infatti pacifico, come ribadito dalla Corte anche nella citata sentenza Gavieiro Gavieiro, che “qualora non possano procedere ad un’interpretazione e ad un’applicazione della normativa nazionale conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente quest’ultimo e di tutelare i diritti che esso attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno“; del resto, nella stessa sentenza, la Corte ricorda che “la clausola 4, punto I, dell’Accordo Quadro esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego”: essa, pertanto, “è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei dinanzi ad un giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il beneficio delle indennità per anzianità di servizio“. 

Va in definitiva riconosciuto il diritto della ricorrente alla medesima progressione professionale retributiva prevista per il personale docente con contratto a tempo indeterminato, tenendo conto a tal fine degli effettivi periodi di servizio e dunque dell’anzianità di servizio maturata sommando i periodi di durata dei singoli contratti a tempo determinato.

In particolare l’anzianità di servizio si dovrà computare tenendo conto delle annualità corrispondenti allo svolgimento di incarichi di supplenza di cui ai commi 1 e 2 dell’ art. 4 L. n. 124/1999, in forza di contratti stipulati successivamente al 10 luglio 2001, ossia al termine per gli stati membri di adeguare il diritto interno alle disposizioni della direttiva 1999/70 CE. 

Il calcolo delle differenze retributive va, quindi, operato secondo le previsioni economiche di cui ai CCNL vigenti nei vari periodi di svolgimento dei rapporti a tempo determinato, sulla base delle competenze già percepite – quindi per il servizio effettivamente prestato – nel limite della durata degli incarichi di supplenza su posti vacanti e disponibili ovvero non vacanti ma resi disponibili (commi 1 e 2), entro il termine prescrizionale quinquennale, a ritroso dalla data di introduzione del presente giudizio (01.04.2015), coincidente con la prima richiesta documentata di adeguamento retributivo proveniente dalla ricorrente, oltre interessi legali, trattandosi di pubblico dipendente, dalle singole scadenze successive alla maturazione della progressione, fino al soddisfo.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 4914 dell’1.12.2015 e pubblicata in data 14.03.2016, ha indicato i criteri da adottare per il risarcimento dei danni conseguenti all’abuso dei contratti a termine da parte della P.A. su cui si era creato un contrasto giurisprudenziale.

Le Sezioni Unite definiscono l’applicabilità anche nel settore pubblico dell’art. 32 della Legge n. 183/2010, proprio in virtù dei principi comunitari secondo i quali il rimedio deve essere effettivo ed equivalente a quello della conversione.

La Corte di Giustizia Europea, difatti, pur affermando che l’art. 36 del D. Lgs. n. 165/2001 non contrasta con la direttiva comunitaria 1999/70, chiarisce tuttavia che la diversa tutela apprestata al dipendente pubblico precario rispetto al lavoro privato deve essere colmato con misure adeguate e garanzie equivalenti. In particolare, il danno risarcito al lavoratore pubblico deve avere: un’efficacia dissuasiva, non produrre conseguenze di minor favore di quelle previste per i privati e non rendere troppo difficile la tutela contro il ricorso eccessivo ai rinnovi.

Pertanto, in virtù della sentenza della Cassazione a Sezione Unite, risolti i dubbi interpretativi in materia, nelle ipotesi di abuso di contratti a termine da parte della P.A, il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento del danno da quantificare nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n.183, e quindi nella misura pari ad un’indennità omnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966, n. 604, senza dover fornire alcuna prova in merito al danno subito.

Quindi ai sensi del citato art. 32 i resistenti vanno condannati al risarcimento del danno in favore della ricorrente quantificato in complessive 7 (sette) mensilità, in considerazione del protrarsi della situazione precaria e fino all’immissione in ruolo.

Quanto alle spese giudiziali, appare doveroso rilevare da un lato il persistere di un contrasto tra giurisprudenziale di alcune pronunce di merito, nonostante la pronuncia della Corte di Giustizia Europea, che ha definito la questione interpretativa determinante ai fini della risoluzione delle controversie in materia e, dall’altro, la particolare complessità della questione di diritto sottesa. Per le dette considerazioni appaiono sussistenti i presupposti per una integrale compensazione ex art. 92 c.p.c. delle spese di lite fra le parti costituite.

                                                           P.Q.M.

Il Giudice Monocratico, ritenuta la propria competenza e definitivamente pronunciando sul ricorso depositato in data xx/xx/xxxx da Tizia nei confronti del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, dell’USR – Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, disattesa ogni contraria domanda ed eccezione, così provvede:

1. Dichiara che tra la ricorrente ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, è intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal xx/xx/xxxx.

2. Dichiara il diritto della ricorrente alla rideterminazione ai fini giuridici ed economici del termine dei contratti stipulati per gli anni scolastici xxxx, xxxx, xxxx e xxxx, fino al xx agosto di ogni anno e per l’effetto condanna il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, al pagamento dell’importo previsto dalla normativa applicabile, oltre interessi legai dal sorgere dei crediti al soddisfo.

3. Condanna il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, alla ricostruzione della carriera della ricorrente con il conteggio, a fini economici e normativi, della anzianità di servizio per il periodo pre ruolo in maniera integrale.

4. Condanna il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, al risarcimento del danno in favore della ricorrente che liquida in complessive 7 (sette) mensilità della retribuzione globale di fatto.

5. Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Così deciso in Catania all’udienza del xx/xx/xxxx.

        Il Giudice Onorario di Tribunale

               Dott.ssa Caia

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